Riccardo Tennenini
Breve riflessione sull’attuale situazione pandemica

È un fatto che i rapporti tra i processi dell’automatismo e quelli della paura sono molto stretti: pur di ottenere agevolazioni tecniche, l’uomo infatti disposto a limitare il proprio potere di decisione. Conquisterà ogni sorta di vantaggi che sarà costretto a pagare con una perdita di libertà sempre maggiore.
E.Jünger, Trattato del ribelle.
Sin dallo scoppio della pandemia, i governi occidentali si sono approcciati a questo nuovo scenario in maniera positivista. Tale scelta è deducibile con facilità dall’agliofobia che – nei fatti – sembra caratterizzare attualmente il nostro mondo. Il dolore fa così paura che – come osserva il filosofo Byung Chul-han – è stato letteralmente bandito dalla nostra vita, relegato ad argomento tabù nel costante inseguimento di un ottimismo perenne. La pandemia, però, ha obbligato l’Occidente agliofobico a guardare in faccia il dolore sbattendoglielo dinanzi agli occhi, quello stesso dolore che invano si era provato a esorcizzare; ecco dunque che, scorgendo a forza la realtà oltre la rosea maschera dell’ottimismo, le capacità di reazione crollano miseramente, poiché il dolore è fondamentale alla vita tanto quanto il piacere, soprattutto per riuscire a rialzarsi ancora, nonostante tutto, e tenersi in piedi.

Con il solo ottimismo come unica arma a disposizione per cercare di superare ogni eventuale sofferenza, l’uomo occidentale rimane paralizzato in ginocchio dall’angoscia e dall’incredulità che il suo “migliore dei mondi possibili” – fatto di belle parole ed arcobaleni – stia cadendo a pezzi come un castello di carte, vacillando con esso anche il sistema liberal-democratico che lo guida – fondato sulla libertà individuale e sul potere decisionale del demos – con l’apparentemente ossimorico risultato di consegnare tutto il potere nelle mani di burocrati, CEO di multinazionali biotecnologiche e filantropi internazionali, privi di scrupoli nel violare gli stessi principi cardine della liberal-democrazia verso l’instaurazione di un panopticon globale.

In un simile contesto, i mass-media centralizzano intorno agli autocrati tutto il cosiddetto “quinto potere”, schiacciando ogni pensiero critico, bollandolo come “fake news” e “teoria del complotto”, e di conseguenza bannandolo dai canali di informazione. Si crea dunque un pensiero unico totalizzante, contraddistinto dall’indubbia volontà punitiva nei confronti di tutti coloro che si rifiutano di accettarlo come verità ultima, con i suddetti autocrati presentati al pubblico come grandi “superstar”, mosse esclusivamente dal bene e dall’interesse comune, mascherando abilmente la tirannide biotecnica come unica forma salvifica per l’umanità, e le coercizioni ad essa correlate quali manifestazioni di alto civismo.
In questo modo, la libertà individuale e la risoluzione del demos non vale più nulla innanzi al potere dei dati statistici. Da qui, la nuova biopolitica pandemica, capace di avvalersi della tecnoscienza per ottenere un controllo totale non solo sull’internauta e sui suoi processi mentali e decisionali, ma anche sul corpo del cittadino, e più precisamente sulla sorgente stessa della sua vita, ovvero il DNA. Si capirà come dunque il passo è breve fra l’essere schiavi di un codice a barre al codice QR stampato ovunque, persino sulla pelle, mentre la prassi del lockdown trasforma le società occidentali in veri e propri “Stati di clausura”.
Quanto apparirebbe più logico e coerente da fare in una situazione simile, oltre a dispiegare quello che Thoreau definiva “disobbedienza civile”, sarebbe impiegare in maniera etica e costruttiva lo scorrere del tempo delle restrizioni, migliorando noi stessi attraverso lettura, meditazione, attività fisica, natura e buon cibo, e dando più valore ed importanza alla vita ed a tutte quelle piccole cose che fino a prima della pandemia davamo per scontate. In realtà, purtroppo, è avvenuto l’esatto contrario. Per alcuni si è trattato infatti di un modo come un altro per fare soldi, per altri un ulteriore motivo, approfittando della situazione, per stare sotto i riflettori.
Tra digitalizzazione di massa, datizzazione globale, iper-sorveglianza orwelliana, misure biopolitiche foucaultiane, nuove discriminazioni fra “pro-vax” e “no-vax”, e-commerce come modello rampante di mercato, e rider come lavoro tipo del XXI secolo, la mascherina diviene in un simile contesto il feticcio per eccellenza, nel quale ognuno di noi – paradossalmente – può tendere a mostrare la propria personalità nascondendola dietro una maschera. Ciò evidenzia un materialismo ed un individualismo estremi, che contribuiscono ad attribuire maggiore importanza all’uscire di casa con una mascherina abbinata al vestito, che non a coltivare autentici rapporti umani. Il risultato finale è inevitabilmente un diverso tipo di società distopica ed innaturale, quale quella descritta dal film “Equals”. Perché innaturale? Se aveva ragione Aristotele, l’uomo per sua stessa natura è un “animale sociale”, bisognoso di stare con gli altri, di socializzare, di creare una fitta rete di rapporti profondi e duraturi, quali la famiglia. Il futuro distopico che si accinge ad essere creato si pone in contrasto diretto con il monito aristotelico, fra rapporti interpersonali promossi solo attraverso l’intermediazione di uno schermo, una diffidenza sempre più marcata fra gli individui, ormai proni a sospettare del prossimo come “infetto”, restrizioni sempre maggiori della mobilità e della libertà dei singoli, il metro di distanza come simbolo della distruzione del “noi” e della promozione sempre più coercitiva dell’”io” – centro e misura dell’uomo obbligato a bastare a sé stesso.
L’annichilimento del contatto umano che ne scaturirà – a partire dalla morte del dialogo – ci traghetterà alla fine di tutto verso un nuovo tipo di depressione esistenziale. Se ciò realmente si verificherà, se non si sarà riusciti a superare una volta per tutte l’agliofobia, instaurando con il dolore – cuore del problema pandemico – un rinnovato rapporto costruttivo, la “nuova umanità mascherata” nella quale ci troveremo immersi avrà smarrito veramente, e per sempre, la propria ragion d’essere.