Plinius e Adalheidis

L’uomo moderno anatomicamente è il Cro-Magnon, che circa 35.000 anni fa, dopo la sua calata in Europa, avrebbe rapidamente soppiantato il Neanderthal, la cui scomparsa rimane ancora uno dei grandi misteri dell’antropologia. Alcune teorie propendono per un genocidio da parte dei Cro-Magnon(sapiens moderni), altre per un mescolamento delle due specie, la più probabile è che i Neanderthal non fossero capaci di competere con i Cro-Magnon per le risorse per la sopravvivenza e fossero andati estinguendosi. Qualche mescolamento è probabile, ma non su larga scala.
Arriviamo velocemente al Neolitico, tra 7500 a.C. e 3000 a.C. in Europa. Qui tratteremo più dell’Italia neolitica. Sappiamo che soprattutto nel Sud della penisola, in maggioranza arrivarono agricoltori provenienti dalla penisola anatolica, i quali, SPECIFICHIAMO, Anatolia NON significa “Turchia” e soprattutto NON significa “levantinismo-arabismo”. Erano popolazioni autoctone CAUCASICHE(EUROPIDI)stanziate lì da millenni. Invece, il Nord della penisola si riempì più di popolazioni alpine(il fenotipo alpino è uno dei più antichi d’Europa).
In ogni caso, queste popolazioni neolitiche furono soppiantate, con la guerra o la sottomissione forzata, dall’arrivo degli Indoeuropei. Chi erano gli Indoeuropei? Secondo la teoria kurganica di Maria Gimbùtas, gli Indoeuropei erano una popolazione caucasica(europide) sviluppatasi nelle steppe dell’odierna Russia meridionale ed ucraina.
Tutti gli europei moderni, oggigiorno, discendono anche dagli Indoeuropei che, in un periodo compreso tra il 3500 a.C. e il 1000 a.C. colonizzarono l’Europa ed anche l’altopiano Iranico(oltre all’India settentrionale) a più ondate: coloro che presero la via del Nord Europa oggi li definiamo “Germanici”, indo-iranici coloro che presero la via dell’odierno Iran, chi invece andò verso ovest furono coloro che definiamo “Italo-celti”: i ceppi poi si sarebbero separati, i Celti avrebbero colonizzato l’area della Gallia, gli Italici, appunto l’Italia, a più ondate: la prima sarebbe stata quella degli osco-umbri detti propri, composti da popoli quali i Sabini, i Marsi, gli Umbri, gli Osci e altre tribù di lingua osca, stabilitisi al centro appenninico e al Sud fino alla Calabria. Successivamente sarebbero saliti alla ribalta i latino-falisci, commisti alle popolazioni neolitiche dell’area dell’odierno Lazio. Per lungo tempo queste due stirpi avrebbero convissuto e si sarebbero influenzate a vicenda nell’Italia pre-romana, finché una città, appunto Roma, nel corso del I millennio a.C. avrebbe lentamente iniziato a predominare e ad imporre, alla fine del millennio, attraverso guerre e diplomazia, la romanizzazione culturale a tutti i popoli italici. I Veneti erano i “fratelli” e fedeli alleati dei Romani, che parlavano una lingua molto simile a quella latina, appartenente al ceppo latino-falisco.
Impossibili da non menzionare sono gli Etruschi, stanziati nell’odierna Toscana ove fiorì anche la civiltà villanoviana, e probabilmente gli stessi Etruschi sono una naturale continuazione di essa, al di là delle continue, ed a volte anche strampalate teorie “esotiche” che vengono per essi preposte, quali anatolici, medio-orientali o addirittura turchi, e tra il serio e il faceto(amerindi). Molto probabilmente gli Etruschi, organizzati in città-stato e mai in una singola nazione, sono il frutto dell’unione di villanoviani, piccoli gruppi di italici (che si riscontrano anche a livello linguistico e genetico: la Toscana è una delle regioni italiane con più alta concentrazione di DNA italo-celtico) e influenze greche, queste perlopiù provenienti dalle coste meridionali della penisola ove già coloni greci avevano fondato importanti città (tra cui, menzioniamo, la famosissima “fase orientalizzante”). Quando si parla di Etruschi, poi, non si possono non menzionare i Reti e i Camuni dell’arco alpino e prealpino, popolazioni appartenenti allo stesso ceppo autoctono alpino-tirrenico e affini agli Etruschi per lingua e cultura.
Sempre nel Nord, oltre ai già citati Galli di stirpe indoeuropea italo-celtica e di lingua celtica (il cui sostrato si ritrova ancora oggi nelle lingue gallo-italiche), troviamo anche gli autoctoni Liguri, che secondo alcuni sarebbero una popolazione atlanto-mediterranea parlante una forma arcaica di osco-umbro, che in seguito avrebbero assimilato la cultura celtica.
L’Italia sotto il dominio romano era essenzialmente popolata da italici romanizzati nella cultura, avendola lentamente perduta anche per la stessa cittadinanza romana che avevano richiesto all’inizio del I secolo a.C., anche se iscrizioni in lingua osca sono state ritrovate a Pompei risalenti al I secolo d.C.; il quadro genetico delle popolazioni da cui discendono gli italiani moderni è pressoché invariato dall’epoca preromana.
Qui serve un chiarimento riguardo chi pensa che gli schiavi dell’Impero, provenienti da ogni angolo, avrebbero “levantinizzato” l’Italia e l’Europa: sono affermazioni superficiali che lasciano il tempo che trovano. Anzitutto, gli schiavi provenivano appunto da ogni angolo dell’Impero e non solo dal Medio Oriente o dall’Egitto. C’era la Grecia, la Macedonia, l’Illirico, l’Anatolia, l’Iberia, la Gallia, la Britannia. E la popolazione servile, nel massimo periodo di splendore, non costituiva più del 35% della popolazione totale dell’intero Impero.
L’Italia rimase essenzialmente indoeuropea, ma allora come oggi, nel Sud rimase una discreta concentrazione neolitica, frammista ad influenze greche e osche, sia genetiche che culturali, sulle coste, che sarebbero continuate anche dopo la caduta dell’Impero con i domini bizantini(Impero romano d’Oriente). La calata dei Longobardi in Italia nel 568 è l’ultima da 1500 anni a questa parte che abbia un po’ rimescolato il patrimonio genetico degli abitanti della penisola, ma SOLO in zone precise. Sappiamo che al termine delle guerre gotiche del VI secolo la popolazione era ridotta a 4-5 milioni di abitanti, la metà rispetto a quella del Tardo Impero. I Longobardi, (in numero di 150.000-200.000) inizialmente oppressivi dominatori, col tempo si mitigarono e iniziarono a mescolarsi agli autoctoni italici(Romanici) nel Nord Italia, nella Tuscia(Toscana) e nel Sannio Beneventano(oltre al Molise). In queste zone si riscontra un discreto contributo longobardo, a livello linguistico ma in piccole proporzioni anche a livello genetico, mentre nella Riviera adriatica, in Sicilia e nel cosiddetto “corridoio bizantino” si ritrovano influenze greco-bizantine. Ma nonostante tutto questo, ancora oggi il corpus genetico degli italiani moderni, in generale, non è mutato di molto, se si eccettuano alcune aree specifiche. Franchi, Normanni e successive dominazioni, specie al sud, francesi e spagnole, erano costituite da gruppi di potere d’èlite, assolutamente irrilevanti dal punto di vista genetico, tutt’al più linguistiche, visto il discreto numero di termini napoletani in prestito da francese e spagnolo.
Quanto alle influenze germaniche, slave e franco-provenzali nelle vallate alpine, si tratta di minoranze giunte da oltralpe nel Medioevo e che tuttora conservano gelosamente la loro identità linguistica e culturale, ma che a nostro parere non giustificano le istanze secessioniste degli autoctoni.
Spesso, ultimamente, si sente parlare di “Medioevo multietnico”, secondo il quale i fitti scambi commerciali tra Mediterraneo e Nord Europa, tra Occidente e Oriente (tra cui, la via della seta che giungeva fino in Cina), le Crociate in Medio Oriente e la presenza di mercanti e viaggiatori stranieri nelle più importanti città portuali europee, giustificherebbero una “mescolanza” di popoli su larga scala, quasi come se fosse legittimo immaginarsi, in città come Marsiglia, Venezia o Costantinopoli, situazioni multietniche simili a quelle delle nostre metropoli attuali come la “cosmopolita” Londra( e non è un complimento). È un falso storico, forse dettato dall’esigenza di veicolare una visione “politicamente corretta della storia”, ma che di sicuro non corrisponde a verità: dopo le cosiddette “migrazioni di popoli” o “invasioni barbariche” che dir si voglia, che coinvolsero comunque popoli europei, l’Europa non ha più visto, nel corso dei secoli, migrazioni di massa di popoli provenienti dall’esterno, tanto che perfino la Turchia, che prende il nome dalle popolazioni dell’Asia centrale turche e turcofone del ceppo uralo-altaico (Ottomani) che la invasero nel XIV secolo e le più recenti migrazioni dal Medio Oriente, rimane nella sua parte occidentale un paese di retaggio indoeuropeo greco-anatolico.
Le altre nazioni dell’Europa occidentale, analogamente all’Italia, hanno conservato fino a tempi recenti la fisionomia che le caratterizzava fin dai tempi antichi: così come i Franchi non hanno reso la Francia un paese germanico, l’invasione islamica in Spagna non ha distrutto l’eredità celtiberica e latina, l’Inghilterra, nonostante le invasioni franco-normanne, romane e anglosassoni abbiano alterato il quadro linguistico e mitigato quello genetico, non ha subito influssi extraeuropei (se non ai tempi dell’imperialismo britannico, in età moderna), i paesi germanici, pressoché inalterati fin dall’età preromana, hanno subito grandi mutamenti genetici e sociali solo in seguito alle grandi migrazioni extraeuropee dell’ultimo secolo (escludendo ovviamente le minoranze ebraiche, fisicamente indistinguibili dagli europei).
L’est Europa invece andrebbe analizzato in separata sede in quanto ha subìto anche le invasioni di popoli turcofoni quali Avari, Bulgari e Cumani(in turco Kipcak), questi ultimi spesso in guerra poco dopo l’anno 1000 con i Variaghi-Slavi della Rus’ di Kiev. Il ceppo est europeo rimane comunque in maggioranza slavo, come pure la cultura e la lingua sono di natura slava.
Discorso a parte merita la presunta influenza araba in Sicilia o addirittura nel Meridione continentale della penisola. Quante volte sentite parlare di “Sud arabo”? Quante volte vi viene fatto credere che le “caratteristiche espressioni” dei meridionali siano araboidi? Tantissime. In realtà si tratta di percezioni distorte e di luoghi comuni passati nell’immaginario collettivo.
Iniziamo specificando che il Meridione italico MAI è stato sotto dominio arabo, tutt’al più i saraceni(berberi di solito) effettuavano scorrerie contro le coste tirreniche e adriatiche(dove per 40 anni in Puglia vi fu un califfato), ma a parte alcuni deportati dalla Sicilia dopo la calata dei Normanni in Sicilia, il Sud Italia ha sempre dovuto difendersi dai pirati saraceni e MAI è esistita una presunta commistione di arabi ed autoctoni. Solo alcuni sovrani longobardi del ducato di Benevento usarono truppe saracene per i loro fini.
La Sicilia, invece spesso additata come “araba” a prescindere, anche a causa della cattiva influenza di Michele Amari, autore ottocentesco, è forse la regione italiana più particolare di tutte. Di carattere prevalentemente neolitico, greco, italico(i Siculi erano un popolo italico, latino-falisco, proveniente dal Lazio), in età bizantina si arricchì di nuovi elementi greci, la conquista islamica fu sempre avversata dalle popolazioni autoctone che spesso soffrirono eccidi(a Palermo su 70.000 abitanti ne sopravvissero solo 3.000 in seguito alla conquista arabo-berbera), e durò meno di 200 anni, e in alcune zone della Sicilia orientale addirittura 90. I Normanni, corpo d’élite proveniente dal Nord-Europa(ma non Vichinghi puri come si è solito dipingerli) erano francesi di lingua e di cultura latina, misti a popolazioni germaniche. Il loro dominio sul Sud, a partire dalla metà del XI secolo, fu repentino. In Sicilia essi scacciarono rapidamente i berberi e gli arabi, e coloro che sopravvissero o non furono scacciati, nei secoli successivi, divenirono tristemente oggetto di persecuzioni e stermini. I Normanni stessi portarono popolazioni dal Nord Italia per ripopolare l’isola in alcune zone specifiche, le stesse dove oggi si parla il gallo-italico di Sicilia.
Detto ciò, anche nella stessa isola oggigiorno l’elemento genetico “arabo” tanto paventato è così irrisorio da non esser degno di menzione. Essa rimane di cultura greco-latina e geneticamente greco-italica.
Questo è quanto: le migrazioni recenti non possono e non devono essere usate come “modello” per descrivere il nostro passato. Non bisogna credere che gli italiani moderni siano araboidi-africani subsahariani imbastarditi da secoli e secoli di mescolanze. Semmai, quello è il destino che ci vogliono riservare in questi prossimi decenni, viste le invasioni di allogeni scaricati da mafie e barconi e ONG, e contro il quale ogni vero identitario deve sempre combattere.