1700 ANNI FA, LA CATTIVA GESTIONE DI UNA CRISI MIGRATORIA COSTÒ A ROMA IL SUO IMPERO

Annalisa Merelli

Fonte: Quartz

Traduzione di: Attilio Sodi Russotto

Il 3 agosto dell’anno 387, ad Adrianopoli – città dell’allora Tracia, oggi parte della provincia turca di Edirne – si incrociarono le armi in una battaglia che Sant’Ambrogio ebbe a definire: “fine del mondo e dell’intera umanità”.

L’Imperatore Romano d’Oriente Flavio Giulio Valente Augusto – conosciuto più semplicemente come Valente, e soprannominato “Ultimus Romanorum” (l’ultimo vero Romano) – guidò le sue truppe contro i Goti – una popolazione germanica reputata “barbarica” dai Romani – ed il loro comandante Fritigerno. Valente, che aveva scelto di non attendere l’aiuto militare di suo nipote Graziano, Imperatore Romano d’Occidente, si risolse a scendere in campo alla testa di 40.000 soldati, contro i circa 100.000 di Fritigerno.

Fu un vero massacro: 30.000 soldati romani persero la vita, e l’aquila imperiale ne uscì clamorosamente sconfitta. Quella di Adrianopoli sarebbe stata la prima di molte altre disfatte, ed è considerata dagli storici il punto d’inizio del processo che portò nel 476 alla fine dell’Impero Romano d’Occidente. In quei giorni, i domini di Roma si estendevano su una superficie di circa 600 milioni di ettari – circa due terzi degli odierni Stati Uniti – contando una popolazione superiore al mezzo miliardo.

La sconfitta di Adrianopoli non fu causata dalla cocciuta brama di potere di Valente, o dalla sua grossolana sottovalutazione della forza belligerante del nemico. La disfatta probabilmente più rilevante dell’intera storia di Roma affonda le sue radici in qualcosa di ben diverso, ovvero una crisi migratoria.

Due anni prima, i Goti erano discesi in massa verso i territori romani in cerca di rifugio, e la cattiva gestione di un tale fenomeno diede inizio ad una catena di eventi che condussero al collasso di uno dei più grandi colossi politici e militari che l’umanità abbia mai conosciuto. Le similitudini con quando va accadendo oggi in Europa sono davvero inquietanti, e dovrebbero servire all’osservatore contemporaneo come monito assolutamente degno di attenzione.

Stando al resoconto dello storico Ammiano Marcellino, nel 376 i Goti furono costretti ad abbandonare i propri territori – localizzati nell’attuale Europa orientale – sotto la spinta degli Unni diretti a sud, Unni che lo stesso Marcellino non esitò a definire “una razza selvaggia senza pari”. “Gli Unni”, prosegue Marcellino, “si abbatterono dai picchi montuosi come turbini di vento scaturiti dai più remoti anfratti della Terra, procedendo a saccheggiare e distruggere tutto ciò che si parasse loro davanti nel cammino.”

Ciò risultò in un succedersi di terrificanti bagni di sangue, ed in un esodo di massa delle popolazioni gote, similmente a quanto oggi accade ai Siriani, ed a chiunque si trovi afflitto dalla piaga bellica. Queste optarono per stabilirsi in Tracia, giusto oltre il Danubio: la terra era in quei luoghi fertile, ed il fiume pareva costituire una valida difesa naturale dagli assalti unni.

Tuttavia, altri già governavano quelle latitudini – i Romani, sotto l’egida di Valente – e Fritigerno volle in un primo momento offrire a quest’ultimo la sua sottomissione, annunciando che lui e la sua gente “avrebbero vissuto in pace, rifornendo i ranghi romani di truppe ausiliarie se la necessità lo avesse richiesto.” Roma aveva senza dubbio molto da guadagnarci. Quelle terre, infatti, necessitavano di qualcuno che le coltivasse, ed una buona quantità di forze fresche non sarebbe stata certamente sgradita al potere imperiale. “Combinando la forza del suo popolo con questi nuovi innesti”, scrive Marcellino, “Valente ritenne di potersi costruire un esercito assolutamente invincibile.” Come segno di gratitudine all’Imperatore, Fritigerno si mostrò persino disposto a convertirsi al cristianesimo.

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Tutto ebbe inizio piuttosto pacificamente. I Romani si adoperarono in un’attività di ricerca e salvataggio assai simile alle operazioni analoghe condotte dai nostri contemporanei. Riporta Marcellino che “nessuno fu lasciato indietro, neppure i malati in fin di vita.” I Goti “attraversavano la corrente notte e giorno, senza sosta, imbarcandosi in grandi gruppi su chiatte, canoe e zattere di legno.” Marcellino osserva che “in tanti annegarono, dal momento che in molti, troppo numerosi per trovar posto sulle imbarcazioni, tentarono faticosamente di guadare il fiume a nuoto, finendo tuttavia per venir trascinati lontano dalla corrente.”

Si trattò di un flusso migratorio inaspettato e senza precedenti, che alcuni affermano aver riguardato addirittura 200.000 persone. Le autorità militari incaricate di occuparsi dei profughi provarono a stimarne il numero, ma si rivelò un’impresa del tutto infruttuosa.

Tradizionalmente, l’atteggiamento romano nei confronti dei “barbari”, per quanto dispotico si era sempre rivelato decisamente lungimirante. I gruppi di profughi venivano dislocati dove potevano essere più utili all’Impero, curandosi poco o niente dei loro desiderata; comunque, il processo solitamente sfociava in una assimilazione, che portava gli individui un tempo stranieri a farsi cittadini. Non era difficile incontrare discendenti di immigrati nei ranghi più elevati dell’esercito o della pubblica amministrazione. Lo schema che si riteneva poter mantenere l’Impero al sicuro dagli attacchi esterni era molto semplice: permettere a chi stava fuori di varcare i confini e diventare romano.

Tuttavia, questo meccanismo apparentemente fruttifero finì per incepparsi. Fra le autorità militari incaricate di provvedere vitto ed alloggio ai Goti – una versione antica dell’assistenza oggi offerta ai migranti al loro sbarco in Grecia o Italia – prese a dilagare la corruzione, ed in molti cercarono di trarre un illecito profitto dall’emergenza. I Goti, deprivati di ciò che era stato loro promesso, si trovarono costretti ad acquistare carne di cane dai Romani per sostentarsi. Marcellino non ha dubbi: “la proditoria avidità di costoro fu causa di infiniti disastri per Roma.”

Il rapporto di fiducia fra i Romani ed i Goti, soli e maltrattati, si era incrinato già svariate volte prima di Adrianopoli, e questi ultimi finirono per passare da un desiderio di integrazione ad un impeto distruttivo nei confronti di Roma. Meno di due anni dopo, Marcellino ebbe a scrivere: “con occhi rilucenti di rabbia, i barbari si diedero all’inseguimento dei nostri uomini.” Ad un simile scenario, la caduta dell’Impero ebbe a seguirne di lì a poco.

I migranti che tentano di entrare nell’Europa odierna non si trovano sul punto di sollevarsi in armi, e fortunatamente l’Europa d’oggi non è l’Impero Romano. Tuttavia gli accadimenti che riguardarono i Goti mostrano assai bene che le migrazioni sono state e sempre saranno parte integrante del nostro mondo. Vi sono due modi di rapportarsi ai rifugiati: promuovendo con essi dialogo ed inclusione, o facendoli sentire sgraditi e trascurati. La seconda via ha già condotto al disastro una volta, ed in un modo o nell’altro, non tarderà sicuramente a farsi causa di nuove disgrazie.

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