LEGGERE OGGI SCHOPENHAUER PER CAPIRE L’ATTUALITÀ

Arthur Schopenhauer è stato un vero europeo e un autentico filosofo. Anche se dovette aspettare molti anni prima che gli venissero riconosciuti i dovuti meriti quando pubblicò il suo opus magnum Die Welt als Wille und Vorstellung (1819). Stesso discorso per un’altra sua celebre opera Parerga und paralipomena. Kleine philosophische Schriften. L’originalità e la forza radicale delle sue idee lontano dalle accademie lo portarono a sviluppare nel tempo una weltanschauung che influenzò molto il pensiero di personalità come Richard Wagner, Friedrich Nietzsche che lo definiva il suo «pedagogo», Tolstòj che equiparò l’insegnamento schopenhaueriano a quello del Buddha. Per questo motivo possiamo definire la sua filosofia come un «buddismo tedesco». Tant’è che lui stesso si identificava nella vita e nella figura del Buddha.

«A diciassette anni, digiuno di qualsiasi istruzione scolastica di alto livello, fui turbato dallo strazio della vita proprio come Buddha in gioventù, allorché prese coscienza della malattia, della vecchiaia, del dolore, della morte. La verità, che mi parlava in modo così chiaro e manifesto del mondo, presto ebbe la meglio sui dogmi giudaici che erano stati inculcati anche in me».
(A.Schopenhauer, Il mio Oriente)

Schopenhauer segnò uno squarcio nel pensiero e nella filosofia. Sostenendo che l’essenza ultima dell’universo è la voluntas o volontà-di-vivere. Questa volontà è un infinito desiderio «tantalico» cieco, spietato, infinito, inconscio e irrazionale. Un altro aspetto fondamentale all’interno della weltanschauung schopenhaueriana è quella reminiscenza atta a riappropriarsi di una dimensione interiore dell’anima propriamente indo-europea. Per questo motivo l’ho voluto definire «vero europeo», a differenza dei suo colleghi filosofi che erano rimasti prigionieri dell’anima galilea e di un tipo di moralità giudaico-cristiana, muovendo tutte le loro speculazioni a partire dal mondo abramitico. Schopenhauer se ne liberò una volta per tutte, escludendole dalla sua filosofia. Sviluppando un’etica e una metafisica che attinge dalla filosofia moderna germanica di Immanuel Kant, quella greca antica di Platone e infine dalla mistica orientale del Buddismo e del Vedānta. Ammirava molto anche Meister Eckhart in quanto «asceta autentico», affermando che le omelie che pronunciava il domenicano tedesco fossero le stesse del Buddha. Leggere oggi Schopenhauer, in particolare il IV libro del Mondo come volontà e rappresentazione qui presentato nell’edizione del 1915, significa riconoscere la perenne attualità del suo pensiero e della sua scelta, che ebbe straordinarie ripercussioni nella storia del pensiero fino ai giorni nostri, ora che «Dio è morto» e la secolarizzazione ha divorato le società aperte laiche. Nella sua metafisica, ritornando alle parole di Tolstòj e sull’influenza dei suoi «maestri» sopra citati, possiamo trovare una similitudine tra la filosofia di Schopenhauer nel concetto di Weltschmerz entro il quale si può incasellare l’intero pensiero schopenhaueriano e quello buddista di Duḥkha. Entrambi i concetti si concentrano sul significato di dolore. Da qui la grande domanda che lo aveva spinto a fare filosofia: perché esistono il dolore e la sofferenza nel mondo? Nel 1811, la madre di Schopenhauer temeva che il figlio volesse studiare filosofia; per questo motivo chiese a Martin Wieland di parlargli per cercare di convincerlo a indirizzare la sua vita e il suo futuro a una carriera più remunerativa della filosofia. Wieland parlò con Schopenhauer e gli chiese il motivo della sua scelta. La sua risposta delineerà tutto il suo intero pensiero: «Guardi, la vita è cosa incerta e miserevole: ho deciso di consacrare la mia a riflettere su questo concetto». Da questa constatazione deriva il suo «pessimismo cosmico» definendo il nostro mondo «il peggiore dei mondi possibili», «valle di lacrime», «colonia penale» nel quale gli esseri patiscono per tutta la loro esistenza solo dolore e sofferenze. Dolore e sofferenze causate dalla voluntas come volontà-di-vivere nel suo infinito desiderare senza meta o fine ultimo ma solo una perenne noia e insoddisfazione. A questo punto Schopenhauer si fa un’altra domanda: come si possono alleviare gli infiniti dolori e sofferenze dell’esistenza? La risposta a questa domanda la trova partendo dalla constatazione che, se tutti soffrono, il proprio dolore è direttamente proporzionale a quello degli altri. In questo modo si capisce di essere tutti «sulla stessa barca» e quindi attraverso il proprio dolore esistenziale capire l’altro e sviluppare proprio grazie ad esso una pietà e compassione universale dove la voluntas si trasforma in noluntas o negazione della volontà-di-vivere. Il che ricorda molto quella praticata dai jainisti indiani. L’insegnamento schopenhaueriano rivela come abbiamo già detto una profonda affinità con le Upaniṣad. Schopenhauer stesso disse che la scoperta delle Upaniṣad era state l’unica consolazione della sua vita. In questo senso Schopenhauer è un vero e proprio «rinnovatore spirituale» quando afferma:

«In India, le nostre religioni non attecchiranno mai; l’antica saggezza delle razze umane non sarà oscurata dagli eventi in Galilea. Al contrario, la saggezza indiana fluirà indietro verso l’Europa, e produrrà cambiamenti fondamentali nel nostro pensiero e nelle nostre conoscenze».

Tale influsso spirituale della sua weltanschauung alla fine del XIX secolo era così forte che alcuni lo definirono il «Buddha di Francoforte». Leggendo il testo qui presentato di Schopenhauer si possono riscontrare l’attualità delle sue concezioni etiche e morali. Schopenhauer dava grandissima importanza all’elevazione spirituale e l’ascesi a differenza di quelli che lo presentano come un ateo materialista che non credeva in niente. L’ascesi permette di contemplare la kalokagathia nelle sue forme più nobili e pure. Insieme all’ascesi, vedeva la musica e l’arte come eccellenti lenitivi a tutti i dolori e sofferenze dell’uomo. Il messaggio schopenhaueriano oggi potrebbe servire come antidoto alla postmodernità e a certe frivolezze della società contemporanea.

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LA PERENNE ATTUALITÀ DELLA GABBIA D’ACCIAIO DI MAX WEBER

Riccardo Tennenini

Il pensiero del grande sociologo tedesco Max Weber esercita ancora oggi un’influenza profonda sulla comprensione della società contemporanea. Egli nel suo vasto panorama letterario si occupò di molte questioni importanti come: la società moderna, l’economia capitalista e la religione, in particolare quella protestante. Ma è di particolare interesse per noi il processo di “razionalizzazione”. Che possiamo considerarlo come quel processo di secolarizzazione che portò le società occidentali moderne ad abbandonare spiegazioni mistico-religiose e metafisiche per approcciarsi ad altre di carattere meramente tecnico e scientifico. Questo processo lo definì come disincanto del mondo (Entzauberung der Welt).

«La crescente intellettualizzazione e razionalizzazione non significa dunque una crescente conoscenza generale delle condizioni di vita alle quali si sottostà. Essa significa qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento venirne a conoscenza, cioè che non sono in gioco, in linea di principio, delle forze misteriose e imprevedibili, ma che si può invece – in linea di principio – dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale. Ma ciò significa il disincantamento del mondo. Non occorre più ricorrere a mezzi magici per dominare gli spiriti o per ingraziarseli, come fa il selvaggio per il quale esistono potenze del genere. A ciò sopperiscono i mezzi tecnici e il calcolo razionale. Soprattutto questo è il significato dell’intellettualizzazione in quanto tale.»  (Max Weber, Wissenschaft als Beruf).

Questo disincantamento porta il mondo ha perdere tutta la sua magia e mistero per diventare nient’altro che un gigantesco bestand-oggetto tra le mani del soggetto-uomo. Il disincanto è, come abbiamo detto, tutt’uno con la “razionalizzazione”. Dietro questo intricato progetto della ragione, Weber ci costruisce una delle metafore più importanti non solo del suo pensiero ma dell’intera sociologia. Questa metafora è la cosiddetta “gabbia d’acciaio”, riferita alle coercizioni provenienti da due aspetti della società moderna ovvero l’economia capitalistica e la burocrazia, le quali, insieme con il settore pubblico, ci obbligano in maniera coercitiva ad osservare regole, norme e convenzioni che rendono la società come ad esempio la nostra sempre più “repressiva” nel tempo rispetto a quelle pre-moderne che ancora vivevano l’incanto del mondo. 

La modernità tanto amata e abbracciata da tutti ha finito per intrappolarci all’interno di una “gabbia d’acciaio” come animali dello zoo ammaestrati. La “razionalizzazione” dell’organizzazione delle società occidentali impone l’efficienza selettiva, la produttività tecnica e la riduzione scientifica dei margini di errore. Diventando così il marchio distintivo del processo storico che investe e modifica gli ordinamenti sociali, espungendo i fenomeni irrazionali. 

Weber afferma: “Invece del vecchio coordinatore che è mosso da simpatia, favore, grazia e gratitudine, la cultura moderna ha bisogno per mantenere le sue sovrastrutture, del sostegno dell’emotivamente distaccato e rigoroso esperto professionale. L’aspetto negativo della “razionalizzazione” è proprio la spersonalizzazione degli individui per le esigenze della società”.

La metafora della gabbia d’acciaio oggi è quanto meno attuale per spiegare la situazione italiana tra l’organizzazione iper-burocratica dello Stato e razionalizzazione di ogni singolo cittadino attraverso numerosi dispositivi tecnici. Sono certo che depressione e sintomi maniacali saranno le caratteristiche che idealmente rappresenteranno la nostra epoca, in cui siamo attanagliati nelle maglie dure del “mito del progresso” e della tecnica che attentano quotidianamente alle nostre identità individuali e collettive. 

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